Critica

E I D O L O N

Dal Greco antico: Immagine, Anima, Spettro, Riflesso del corpo vivo

                                 …….Alessandro Bargellini è cosciente del suo viaggio così ce lo comunica dicendo: «L’arte è percorso. Si può rimandare la partenza verso la conoscenza, ma non si può prescindere dal bisogno di “autoricerca” per ognuno di noi. E non è scontato che possiamo trovarci solo guardandoci dentro: il mondo è al di fuori, è un tutt’uno del quale facciamo parte, è un’armonia alla quale ci riconduciamo sempre e comunque.». La rivelazione giunge all’artista improvvisa, forse con la massima semplicità ma in modo inequivocabile e perentorio: si tratta dell’“Eidolon” (dal greco Immagine, ma anche anima, riflesso del corpo vivo).

Eidolon n.O è uno stato di assoluta sospensione e libertà in cui il candore appena screziato della parte superiore si specchia in quello ferito di rosso del registro inferiore. E’ il momento topico esacrale dell’atto creativo che sente di “autorappresentarsi”, è l’epifania dell’essere che esprime la sua doppia natura nella luce.Qualcosa di indefinibile emerge da una nebbia azzurrina come da uno stato depressivo in cui tutto perde colore e tensione (Eidolon n.1) per manifestarsi poi come un monolite sospeso o forse un portale chiuso ostilmente serrato in forme inespugnabili (Eidolon n.3).

Aperta la struttura, divelte le ante nella serie dei numeri successivi di Eidolon, s’apre la conoscenza che per Alessandro Bargellini è l’essenzialità del quadrato che si copre di tocchi materici e informali, ora con ductus verticale ora appena obliquo come a rendere le impercettibili variazioni delle increspature d’un mare ribaltato verso chi guarda. Qui si palesano doppi rettangoli campiti di nero e linee vermiglie.

                                                                                                                                                                  Alvaro Spagnesi

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                    Da tempo Alessandro Bargellini ha scelto di rivolgere la sua ricerca ad un ambito non figurativo- non più, almeno- e gradualmente le sue “superfici” hanno assunto valenze materiche tanto che appaiono ora muoversi verso di noi proiettandosi nella terzadimensione.

                    Astrazione infatti non è sempre il contrario di concretezza e qui si nutrono l’un l’altra guidandoci a percepire come l’autore giunga con e attraverso la fisicità e tattilità della materia a traslare proprio la dimensione dell’immaterialità : queste superfici non rinviano a spazi visibili nella realtà, non sono muri o altro, non “rappresentano”, ma sono spazi mentali indagati attraverso la percezione emotiva piuttosto che sensoriale e le loro corrugazioni, i graffi, le ferite, le vibrazioni, sono i “passaggi”, spesso anche dolorosi, dell’esperienza più intima verso la consapevolezza di sé.  

                                                                                                                                                          Roberta Fiorini

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Quante volte di fronte a un’opera d’arte abbiamo sentito l’ingenua, quanto pretenziosa, domanda “che cosa significa?” riducendo con ciò il suo valore espressivo-artistico a mero mezzo di comunicazione.

Certamente in quanto linguaggio anche l’arte nasce dall’esigenza di comunicare ed è stato così fin dagli albori della civiltà, come ci dicono le prime testimonianze rupestri, rivelandoci quanto sia un precipuo bisogno umano la ricerca di dare forma al proprio pensiero. Ma l’opera in sé non è il mezzo  bensì l’atto della comunicazione, attraverso di essa l’artista esprime la più recondita, genuina e profonda necessità di mettersi in relazione con l’alterità, indipendentemente dal significato del messaggio contenuto. Ciò che più conta è la possibilità di stabilire anche un solo punto di contatto che simbolicamente viene a rappresentare una sorta di uscita dal nostro atavico senso di solitudine cosmica.

Ogni artista esprime la propria sensibilità ed originalità attraverso una traccia visibile – segno, colore, materia – che diviene azione comunicativa e pertanto vitale riflesso di quella volontà di porsi “in contatto”.

Alessandro Bargellini nelle  sue atmosferiche superfici increspate, piegate come pagine di un racconto senza parole, spartiti di una continua trasformazione in cui il tempo si stratifica e dà voce al silenzio, dà immagine al vuoto, invitandoci alla percezione sensoriale e psichica perfino della forma che non c’è, secondo un suo rigoroso codice espressivo che dai grandi spazi delle opere quasi monocrome migra fino al pulsante dialogo che in quelle multiple pone in relazione impronte, alfabeti, diversi.

                                                                                                                                                                Roberta Fiorini